24 gennaio 2019 | OLTRE IL CASO MITENI. STORIA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO – DALLA RIMAR, AL TUBONE ARICA, FINO ALLA QUESTIONE ALIMENTARE

La narrazione dell’immane contaminazione delle acque del SudOvest del Veneto è emblematica, quasi una metafora del modo di governare la Regione da parte di una classe di imprenditori e di politici formatasi a ridosso degli anni Sessanta del secolo scorso, senza una storia e un sufficiente background culturale alle spalle, che hanno sotterrato ogni minima sensibilità verso i territori dove vivono e lavorano, compresa la sapienza della civiltà contadina.

Malgrado da quarant’anni gli scarichi dei depuratori di Trissino, Arzignano e Montebello inquinassero con tonnellate quotidiane di reflui le acque dei fiumi, delle rogge e dei canali che irrigano la pianura veneta, devastando un’area grande come un terzo dell’intera Regione, immettendo cloruri, solfati, cromo, metalli pesanti e PFAS, gli abitanti di decine di comuni dislocati in tre province si resero conto che qualcosa di diverso stava accadendo alle loro vite solo dopo che, nel 2013, l’Arpav ebbe disegnato con diversi colori la mappa del territorio.

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Leggi l’ARTICOLO/INCHIESTA NR 1
di PFAS.land
>> OLTRE IL CASO MITENI. STORIA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO
di Giovanni Fazio
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È questo l’incipit di un ampio articolo/inchiesta che, partendo dai primi esperimenti di Giannino Marzotto nella rimessa della propria villa a Trissino, ci conduce attraverso un itinerario “dantesco” di un Veneto martoriato da inquinamenti, grandi opere, project financing e sofferenze, fino alla bassa pianura veneta, dove scorrono fiumi e rogge un tempo governati dalla Serenissima, che aveva con grande perizia bonificato l’intera area fino a Chioggia.

Il Veneto è una regione privilegiata in Italia per l’abbondanza delle risorse idriche che irrorano le sue fertili pianure. Ai grandi fiumi, Adige e Po, si aggiungono decine di corsi d’acqua, che scendono dalle Prealpi, ricaricando in parte le falde sotterranee e in parte continuando il loro corso in superficie fino alla bassa pianura veneta, arricchendola del loro prezioso contenuto.

Un’enorme ricchezza e un privilegio invidiato da gran parte del territorio italiano.

Di questo immenso tesoro però non rimangono che gli sgoccioli. Con meticolosa perseveranza, in sessant’anni, il breve lasso di tempo che ci separa da quello che fu chiamato il “miracolo economico”, ogni parte di questo patrimonio è stato violato da scoli tossici e inquinanti di vario genere, rilasciati da uno scomposto sviluppo dell’industria e da una mala gestione dell’agricoltura. Chi in questo breve lasso di tempo ha governato il Paese non si è curato di preservarne il patrimonio, tramandato dalle ere geologiche e dalla storia della Repubblica di Venezia, la quale seppe amministrarlo con saggezza e valorizzarlo con bonifiche, rogge e canali, abbellendolo con centinaia di splendide ville. In queste fertili terre si trasferirono i nobili mercanti di Venezia che alla saggia conduzione di una moderna agricoltura associarono il culto della bellezza e dell’arte. Il paesaggio Palladiano ne è la sua massima espressione, ammirato e osannato in tutto il mondo, divenuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1996.

I nuovi governanti, che pure a parole, pretendono di ispirarsi alla Serenissima, non hanno tratto alcun insegnamento dalla sua storia. Anzi, la manipolano.

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L’articolo a cui rimandiamo è una analisi del come un paradiso di acque cristalline è stato violato, lordato, vilipeso, in nome di interessi economici mal pensati e peggio realizzati.

Il punto critico del sistema acquifero veneto è la grande fascia dell’alta pianura, ai piedi delle Prealpi. In questa amplissima parte del territorio che fa da corona alla bassa pianura dove sorgono alcune delle più belle città d’Italia, si trova la zona delle ricariche di falda. In parole povere, è qui che le grandi falde sotterranee si ricaricano di acque, filtrate da centinaia di metri di ghiaie e sabbie di origine glaciale che ne garantiscono la purezza.

Dalla preservazione di questa vasta area dipende tutta la riserva idrica della regione.

Ci si chiede come mai una nozione basilare così semplice sia stata e sia ignorata da chi ha il compito di proteggere il territorio e la vita delle popolazioni che lo abitano. Sarebbe stato sufficiente spostare le industrie inquinanti più a sud, su terreni di argille impermeabili capaci di reggere meglio alla mala gestione delle stesse per evitare un disastro annunciato.

Per sessant’anni, invece, si è permesso a chicchessia di costruire industrie inquinanti e di smaltire nel territorio circostante i propri rifiuti in questa zona, che si sapeva essere delicatissima area. Per sessant’anni si è permesso che i fiumi di acque alpestri che scendevano verso la pianura si trasformassero in cloache velenose. Non è quindi difficile individuare nei politici e nei tecnici al loro servizio i primi responsabili del disastro ambientale che non si limita solo alla grande falda distrutta da Miteni, ma alla maggior parte delle falde regionali ormai quasi del tutto compromesse, inutilizzabili.

Nell’articolo/inchiesta troverete tutto un excursus sulla nascita e lo sviluppo del distretto conciario di Arzignano e le responsabilità di chi ha progettato e riempito nove discariche di rifiuti conciari in zona di ricarica, malgrado le proteste di Legambiente e di comitati di cittadini che le osteggiavano fin dagli anni Ottanta.

Partendo dalla nascita del Tubone A.Ri.CA.,  si analizzano i patti Stato/Regione, le relative elusioni, per decenni, degli stessi patti controfirmati, da parte di tutti i firmatari, nonché la mancata volontà politica di porre fine all’inquinamento autorizzandolo entro “certi limiti”. Il giusto risalto viene riservato alla questione alimentare, da tutti sottaciuta, per non dire sotterrata, con i dettagli sulle supposte DGA (Dose Accettabile Giornaliera, di inquinanti!) e le nuove direttive EFSA, dopo il recente Congresso di Cracovia.

Il recente ritrovamento di PFAS in notevole quantità nell’area di Thiene, che nulla ha a che vedere con la zona inquinata da Miteni, fa temere il peggio. Incredibilmente la Regione ha autorizzato, di recente, il trattamento e lo smaltimento di rifiuti ad una azienda localizzata nella zona che, guarda caso, fa parte dell’alta pianura veneta e quindi della ricarica delle falde. Da qui partirà una nuova storia di inquinamento di falde sotterranee e, tra decenni, ci si chiederà di nuovo, come ciò sia potuto accadere.

Evidentemente i politici che governano il Veneto non hanno tratto alcun insegnamento da quanto è avvenuto e sta avvenendo in tre province a causa del loro improvvido comportamento. Non dimenticheremo mai che, nel 2014, appena un anno dopo dalla “ufficializzazione” del disastro Miteni, l’azienda veniva autorizzata, malgrado tutto, dalla Provincia di Vicenza a trattare rifiuti pericolosi provenienti dall’Olanda per estrarre da questi una piccola parte di PFAS (Genx). Secondo le dichiarazioni della ditta, la parte recuperata sarebbe stato il 18% del totale. Non si sa che fine abbia fatto il restante materiale né se la lettera di allerta per sospetto traffico di rifiuti tossici, inviata dal governo olandese alla Regione Veneto, abbia dato luogo alle dovute indagini e approfondimenti da parte delle autorità competenti.   

Il documento a cui rimandiamo, che non è esattamente un tweet, vuole segnare l’inizio di una indagine e di una riflessione sulle cause e le responsabilità del devastante inquinamento che coinvolge quasi 400 mila cittadini, minacciandone la salute, la fertilità, senza contare le imprevedibili  conseguenze, anche di carattere economico che riguardano alimenti, aziende agricole, allevamenti e ULSS.

Ringrazio la Redazione di PFAS.land per il sostegno nella ricerca e nella stesura editoriale, augurandomi che presto sia seguito da ulteriori articoli di approfondimento e proposte.

Dott. Giovanni Fazio

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Comitato di Redazione
24 GENNAIO 2019

GALLERIA: nelle foto sopra, il Leone Marciano presso la Rotatoria di Trissino, a pochi passi dalla Miteni. Nei pressi, sotto di essa, passano le acque contaminate da PFAS che vanno al Depuratore di Trissino, il quale, collegato con gli altri depuratori della valle della concia, confluiscono tutti nel Tubone A.Ri.CA a Cologna Veneta. Qui – la classe politica – con un inganno semantico, fatto con le parole, ha fatto passare per “vivificazione” ciò che a monte si chiama “diluizione”, ovvero sia un crimine ambientale. Basta sostituire la parola o vedere le immagini allegate – osservando la diluizione del Canale LEB che arriva dall’Adige e che pulisce sommariamente lo scarico nero di A.Ri.CA – per avere la prova provata, la risultanza inequivocabile, a cielo aperto, del crimine ambientale in corso. Da quanti anni? [ndr]

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di Giovanni Fazio
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